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Convegno su "I Protoscacchi piemontesi" a Cuneo

l’Associazione scacchistica cuneese con il patrocinio del Comune di Cuneo , alle ore 17,00 del 17 ottobre 2014 nella Sala d’Onore del Municipio in Via Roma nr.28, ha organizzato un importante Convegno culturale: “I protoscacchi piemontesi: diffusione nell’età medioevale ed esiti archeologici” con la consulenza della Soprintendenza dei beni culturali di Torino.

L’evento, in concomitanza alla 16° Fiera Nazionale del Marrone, è il consueto e collaterale contributo culturale all’open semilampo “Scacco al Marrone” giunto alla 4° edizione, valido per il campionato gioco rapido Piemonte.

Il Sinossi vuole essere un significativo contributro alla continua ma sempre interessante ricerca di fonti e documenti riguardante la storia della diffusione, studio e pratica del gioco nel medioevo, cercando di colmare la carenza di fonti letterarie della nostra penisola, almeno fino all’XI secolo, rispetto all’abbondanza di quelle letterarie d’oltralpe e all’epica del romanzo francese, con la nota menzione nella Chanson de Roland1 .

E’ comunque certo che gli scacchi fossero diffusi nell’Italia settentrionale già sul finire dell’anno mille.

Lo attesta un documento subalpino degli scacchi conservato presso la biblioteca capitolare di Ivrea2. Si tratta di due diversi testi disposti sul recto e sul verso del foglio di un codice contenente scritti di Isidoro di Siviglia, copiato probabilmente durante l’episcopato di Warmondo, tra il 960 ed il 10013.

Il recto rappresenta la prima scrittura in Europa che documenta la “leggenda di Sissa”, destinata però ad avere larga fortuna sia nella letteratura italiana sia in quella provenzale mentre il verso, riporta un componimento poetico: “Versus de schachis” non completo. Questo documento, attribuito alla fine del X secolo è considerato la più antica prova della presenza del gioco in Occidente, secondo lo studioso RAO Riccardo.

Viene in soccorso dello storico a dimostrazione di tale diffusione in Piemonte, strano a dirsi, una rigorosa disciplina che regolamentava la vita quotidiana dei comuni: l’aspetto giuridico-penalistico.

Infatti, sono numerosi gli statuti di diverse città d’Italia che pedissequamente provvedono alla catalogazione del gioco d’azzardo, includendo o escludendo gli scacchi a seconda di determinate condizioni.

L’interesse del “legislatore” medioevale era proibire qualsiasi ludo che si prestasse a scommesse di denaro o scontri. Gli scacchi non erano immuni a tale “pericolo sociale” perché non solo si scommetteva fra i giocatori ma anche fra gli astanti, cosiddette traverse.

Gli statuti prevedevano tra i giochi proibiti prioritariamente i dadi, taxillos, gioco d’azzaedo per antonomasia e che nel medioevo erano di dimensioni quasi minuscole al fine di essere occultate ad eventuali irruzioni della polizia nei polsini o balze degli indumenti.

Gli scacchi subivano ondivaghe sorti sanzionatoria nei vari ocmuni meddioevali; erano più genericamente consentiti negli statuti, tra il 1273 ed il 1343, di Cuneo, Bra, Chivasso, Ivrea, Novara (XV sec.) e Vercelli per citare alcuni dei centri più importanti del Piemonte4. Gli scacheti erano invece proibiti a Biella, ad Ivrea e in alcune località del vicino canavese.

La legislazione statutaria tendeva a consentire gli scacchi laddove per consuetudine non erano praticati ai fini d’azzardo, in particolare se svolti in pubblico e di giorno, assolutamente proibiti alle persone sospette, ai tavernieri e ai venditori di vino. Una legittimazione che risente fortemente del parere dei teologi, anche se questi, a dir del vero, avevano avuto discordanti e contraddittori atteggiamenti sulla pratica del gioco; insomma, dalla tolleranza alla scomunica. Non a caso, a una questio sulla liceità de ludo scacorum Uguccione da Pisa rispose che non è peccato mortale se non fatto per causa voluptatis vel cupiditatis5.

Fatto sta che “Il Corpus statutorum comunis Cunei” del 1380 nella ”Collatio tertia” al cap.184 dedicato a “De ludo taxillorum et alijs ludis prohibitis” vieta in Cuneo, nei territori cuneesi e altri villaggi cuneesi il gioco dei dadi, burriana e simili giochi a denaro o scontro (duello) nisi ad scacos vel ad tabulas.

Quiindi la Cuneo medioevale consentiva il gioco degli scacchi, salvo nelle taverne o in qualsiasi luogo ove vifosse delvino, mentre gli altri giochi vietati subivano un aggravante del bando e della sanzione pecuniaria se compiuti di notte.

Altrettanta tolleranza è concessa dai Codici dei Comuni di Carrù e Demonte ma non a Fossano ove lo scachetum era considerato illecito.

Nel duecento lo statuto di Novara consentiva il gioco tra i banchi mercatali, così quello di Alessandria quod quis ludere possit in plateis et via publica.

Al Podestà di Asti e di Alessandria era invece fatto divieto di giocare agli scacchi, proibizione estesa ai famigliari, militari e giudici.

Nel 1245, gli statuti di Biella consideravano gioco d’azzardo gli scacchi parimenti ai dadi mentre nel 1376 a Moncalieri il banditore comunale gridava il divieto di giocare a scacchi e tabulas anche se poi lo consentiva in pubblico.

L’efficacia del proibizionismo è poi tutta da verificare, spesso non otteneva grandi risultati, anche se dettato allo scopo d’infrenare la rovina di molti cittadini onesti che sperperavano ingenti patrimoni e fortune nell’azzardo. Una campagna proibizionista che nei secoli a passare fino ad oggi è tuttora e spesso innocua o contraddittoria.

A Vercelli tra il 1208 e il 1218 operava una societas scacorum o scacheriorum, i cui consoli detti scacherii potrebbero essere addirittura degli usurai, tenendo presente che la scacchiera è anche uno strumento di conto. Scacos in latino viene spesso tradotto in erario. La società in questione riuniva in prevalenza personaggi legati al popolo vercellese6

Altra prova della diffusione degli scacchi, almeno nei ceti alti, è la loro elencazione, in occasione di successione agli eredi o inventario dei beni, quindi in campo civilistico.

Si trattavano di scacchi antropomorfi, manufatti di eccelsi artigiani con l’utilizzo di materie di pregio, a differenza di quelle di forme aniconiche, in ceramica, vetro, legno, osso in uso ai ceti medio bassi, così come le scacchiere.

Quellepiù preziose apparivano nella dote matrimoniale della figlia di nobile o nel patrimonio universale.

Nell’inventario dei Savoia compariva una versione in francese de “De ludo scachorum” di Jacopo da Cessole, redatta tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV secolo e il codice “Le geu des eches”. Di tale codice si è conservato solo qualche foglio, gelosamente custodito presso la Biblioteca Nazionale di Torino, tra cui una miniatura che mostra alcuni giocatori, appartenenti al milieu nobiliare, concentrarti in una partita di scacchi.

Altrettanto era menzionato nell’inventario o per la dote della figlia di nobile o comunque di alto lignaggio andata in sposa o nel testamento per la successione agli eredi.

Nella nostra provincia, oltre agli statuti sovviene a dimostrare la diffusione del gioco i primissimi e preziosi ritrovamenti archeologici di due “pezzi” degli scacchi a Montaldo di Mondovì e ad Alba.

In genere, per il corredo scacchistico erano utilizzati come materie prime: pietre, osso di bue, raramente la ceramica e largamente il legno. Quest’ultimo, utilizzato soprattutto dai ceti più umili, essendo però materia facilmente deteriorabile non è rinvenibile dagli scavi archeologici.

Lo “scacco di Montaldo” che risale probabilmente alla metà del XIII secolo, è stato ricavato da un osso di bue e rappresenta una Torre “con una ricca decorazione a doppi cerchietti”7.

Il Prof. RAO Riccardo, anche grazie al contributo di queste testimonianze archeologiche, può affermare che a quei tempi la circolazione degli scacchi non era relegata solo agli ambiti culturali più elevati ed alle città, invero: “assai precocemente essi sono documentati anche nelle campagne piemontesi, in aree geograficamente assai distanti tra loro.

Tale constatazione è del resto in linea con la dislocazione delle testimonianze sugli scacchi verificabili per il resto d’Europa”.8

Lo storico Cortellazzo, nel suo saggio sul ritrovamento dei manufatti9, informa anche di un altro ritrovamento, un “Re” proveniente da Alba, di cui non è in grado di indicare la datazione e il materiale.

La passione e la curiosità del referente provinciale FSI consentivano di ottenere dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Piemonte preziose e precise informazioni, grazie all’istruttoria della Direttirce del Museo di antichità di Torino d..ssa Gabriella Pantò e della d.ssa Patrizia Petitti.

Il Re è in osso databile al XV secolo ed è stato trovato in Via Vernazza ad Alba, in questo momento collocato nel deposito del Museo dell’Antichità di Torino10.

 

La Torre di Montaldo è esposta al Museo di’Antichità di Torino, settore del Territorio piemontese. Nella stessa llocazione è collocato, in una teca piramidale, il Cavallo di Bric insieme ad altri pezzi non definiti, posata su una graziosa scacchiera di vetro. Due preziosi reperti che per la datazione, l’ottima fattura e l’esiguo numero di analoghi reperti archeologici, quantificabili in tutta Europa a non più di dieci, conferma l’eccezionalità del ritrovamento e testimonia la diffusione del gioco e l’antica passione piemontese in epoca molto antica1.

E’intrigante anche la storia del suo ritrovamento incidentale all’individuazione nel 1975, da parte dello studioso Aldo A.Sessia12. Lo spunto consentì l’avvio di scavi, iniziati dal 1991 e terminati nel 1993, eseguiti dalla Soprintendenza di Torino che condusse all’individuazione di una vasta area archeologica interessantissima che include un Castrum dall’imponente cinta muraria13.

Niente a che vedere con il cavallo moderno stile staunton ma ha molte similitudini con il cavallo scandinavo dell’XI sec. custodito al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga in Germania; con quello di Saint Genadio in avorio di fattura mozarabica dell’inizio X sec. conservato nel Monastero di Penalba de Santiago; quello in osso di balena trovata nel Witchampton fine XI sec.; il cosiddetto cavallo di Kiev tra l’XI e XII secolo; fino ai nostrani Cavallo di Venafro rinvenuto in Molise dell’XI secolo e quello dei musei vaticani esposto senza datazione e luogo di ritrovamento.

Il Convegno vuole essere un contributo importante per la divulgazione non solo dello sport ma della cultura storica degli scacchi a tutti i partecipanti al Convegno e al Torneo sarà regalato un saggio sulla storia degli scacchi di Cuneo.

Gli atti del convegno saranno opportunamente collazionati in un documento finale.

Antonio dott.CIARAMELLA

Vice presidente Ass.Scacchistica s.d. cuneese

Referente FSI per la provincia di Cuneo

 

1 As tables juent pur les esbanoier/e as eschas li plus saive e li vieill (vv.11-112) ;

2 Scacchi e società nel Piemonte medievale di Riccardo DAO tratto da “Giochi e giocattoli nel medioevo piemontese e ligure”, pagg. 147 e ss. – il reperto si trova alla Biblioteca CAPITOLARE DI Ivrea, codice 38, Braulionis Episcopi et Ysidori epistole, f. 22;

3 A. Ludioni, “da Warmondo a Ogerio”, ibid., pp.119-189, qui alle pp. 119-135;

4 op. cit. “GIOCHI E GIOCATTOLI..” pg.154;

5 Huguccio, Summa decretorum Parma,Biblioteca palatina, ms.Parma 1122, cit. G.Ceccarelli, il gioco e il peccato. Economia e rischio nel tardo Medioevo, Bologna 2003, pg.54;

6 R.Rao, I beni del Comune di Vercelli. Dalla rivendicazione all’alienazione (1183/12545), Vercelli 2005, pp. 81-82;

7 Egle Micheletto –M.Venturino Gambari, “Montaldo di Mondovì. Un insediamento protostorico. Un Castello”, Roma 1991 (Quadreni della Soprintendenza archeologica del Piemonte, Monografie 1) p.194, fig.109;

Egle Micheletto –M.Venturino Gambari, “Montaldo di Mondovì dal villaggio preistorico alcastellomedioevale, Torino 2012, p.28;

Riccardo RAO, “Scacchi e società nel Piemonte medievale” op. supra, pag. 149;

8 op.cit. supra;

9 M.Cortellazzo, “I Manufatti di terracotta, pietra ed osso, in Montaldo di Mondovì” cit., pp.191-196, qui alle pp. 194-195;

10 Egle Micheletto, “Una città nel Medioevo, Archeologia e architettura ad Alba dal VI al XV secolo”, 1999 (Quaderni della Soprintendenza archeologica Piemonte.Monografie, 8) p.140, nota 19;

11 Padiglione del territorio piemontese - Corso Regina Margherita 105. Un ringraziamento particolare per la prima segnalazione a CASSANO

12 SETTIA AA.AA. Insediamenti abbandonati sulla collina torinese in “Archeologia Medievale” pp. 237-328;

13 Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte nr.12 Torino 1994 articolo di Gabriella PANTO’;